Le note di variazione IVA

Temi e Contributi
06/11/2013

Con una certa frequenza si presentano situazioni in cui l’imponibile o l’imposta di un’operazione variano successivamente all’emissione della fattura o registrazione. L’art. 26 del DPR 633/72 disciplina, con regole diverse, sia le variazioni in aumento sia quelle in diminuzione dell’ammontare dell’imponibile o della relativa imposta IVA.

Le più ricorrenti fattispecie che nella prassi commerciale possono comportare una variazione in aumento rispetto all’imponibile o imposta già indicati nella fattura originaria sono rappresentate da un utilizzo di un’aliquota IVA inferiore a quella effettivamente dovuta, dalla mancata applicazione dell’imposta su operazioni che invece erano soggette ad IVA, dalla mancata indicazione in fattura delle operazioni per le quali sussiste il presupposto impositivo o dal venir meno delle condizioni di uno sconto o abbuono già concesso in fattura.
In caso di variazione in aumento l’emissione della nota è obbligatoria ogni qual volta, successivamente all’emissione della fattura originaria, l’imponibile e/o l’imposta vengano ad aumentare per qualsiasi motivo, compresa la rettifica di inesattezze della fatturazione o della registrazione (cfr. comma 1, art. 26).
Il cedente di beni o  prestatore di servizi nell’emettere la c.d. nota “di addebito” dell’imposta - che deve riportare un esplicito richiamo alla fattura originaria – segue le stesse formalità delle fatture di vendita previste dall’art. 21 e ss., registrando il documento e imputandolo nella liquidazione Iva periodica di competenza; non esiste alcun limite temporale espressamente previsto per l’emissione della nota di debito, tuttavia la rettifica oltre i consueti termini previsti per la fatturazione (Cfr. art. 21) è considerata irregolare e passibile delle sanzioni di cui al comma 1 dell’art. 6 del D.LGS 471/97, a meno che non si tratti di variazione dovuta a clausola contrattuale.
Il cessionario o committente, da parte sua, annota il documento di addebito ricevuto nel registro di cui all’art 25 e può esercitare il diritto alla detrazione della relativa imposta nei termini ordinari, a decorrere dal periodo in cui il documento è stato registrato tra gli acquisti.
L’emissione delle note di variazione in diminuzione dell’imponibile sono invece collegate al verificarsi di determinati eventi che comportano il venir meno, in tutto o in parte, della operazione imponibile già fatturata oppure che determinano una riduzione del suo ammontare. Diversamente da quelle in aumento, le variazioni in diminuzione (note di accredito) non sono obbligatorie (cfr. C.M. 77/2000) e sono circoscritte alle sole fattispecie individuate dai comma 2 dell’art. 26 e ai limiti temporali di cui al successivo comma 3.
Pertanto, mentre le variazioni in aumento sono sempre obbligatorie e devono essere effettuate per qualsiasi evento, le variazioni in diminuzione sono meramente facoltative e possono essere effettuate solo in presenza di determinate condizioni.
In particolare, le variazioni in diminuzione possono essere effettuate “senza alcun limite temporale” nelle ipotesi di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, nonché per mancato pagamento in tutto o in parte del creditore a causa di procedure concorsuali o esecutive rimaste infruttuose ovvero in ipotesi di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.
Per effetto del combinato disposto dell’art. 26 e dell’art. 19, tale variazione in diminuzione dell’Iva deve essere emessa, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione (risoluzione 18 marzo 2002, n. 89/E; risoluzione 21 luglio 2008, n. 307/E; risoluzione 29 luglio 2008, n. 321/E; risoluzione 17 febbraio 2009, n. 42/E).
Sono invece soggette al limite temporale di un anno dall’effettuazione dell’operazione originaria le variazioni in diminuzione intervenute per sopravvenuto accordo tra le parti o di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione del comma 7 dell’art. 21.
Il cedente di beni o  prestatore di servizi - al ricorrere delle ipotesi previste dai commi 2 e 3 dell’art. 26 – può quindi avvalersi della facoltà di variare in diminuzione l’imposta emettendo una nota di accredito, correlata alla fattura originaria, ovvero indicando in una successiva fattura attiva con la medesima controparte l’importo di IVA a credito. Previa registrazione del documento, in base all’articolo 25 del D.P.R. n. 633 del 1972, il cedente o prestatore avrà diritto alla detrazione dell’imposta oggetto di variazione, mentre il cessionario o committente dovrà annotare nel registro di cui all’articolo 23, l’imponibile e la relativa imposta al fine di operare la corrispondente rettifica a debito.

Le ipotesi di emissione della nota di accredito nei casi di mancato pagamento
Nel comma 2 dell’art. 26 è prevista l’emissione della nota di accredito, a recupero dell’IVA, per il mancato incasso di un credito nei confronti di un cliente sottoposto a procedura concorsuale od esecutiva rimasta infruttuosa.
La circolare ministeriale 77/E del 17 aprile 2000 evidenzia che per poter effettuare la variazione in diminuzione non è sufficiente aver emesso e registrato la fattura attiva, in quanto “è necessario accertare il momento in cui le ipotesi di insolvenza considerate (mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose) vengono ad esistenza".
Nel caso delle procedure concorsuali si ritiene che tale infruttuosità possa emergere quando il  soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva sul patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo; il verificarsi dell’infruttuosità postulerebbe, quindi, in via preventiva, da un lato l’acclarata insolvenza dell’importo fatturato e l’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall’altro la necessaria partecipazione del creditore al concorso (cfr. C.M. 77/E).
In riferimento al momento in cui ritenere infruttuosa la procedura concorsuale, a decorrere dal quale il creditore ha due anni di tempo per emettere la nota di variazione, si può effettuare il seguente distinguo:

  • Fallimento: dall’esecutività del piano di riparto, dopo che è decorso il termine per le impugnazioni (art. 110, L.F.) ovvero, in assenza di un piano di riparto, dalla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento (art. 119 L.F.)
  • Liquidazione coatta amministrativa: dall’approvazione del bilancio finale della liquidazione con il conto della gestione e il piano di riparto piano di riparto ai creditori (art. 213 L.F.)
  • Concordato fallimentare: dalla definitività del decreto di omologazione (artt. 130 e 131 L.F.)
  • Concordato preventivo: solo con riferimento ai creditori chirografi avendo riguardo alla sentenza di omologazione  divenuta definitiva (art. 181 L.F.) e al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato; pertanto, l’infruttuosità del concordato preventivo si verifica solo per i chirografari e per la quota parte del credito rimasto insoddisfatto alla chiusura del concordato.
  • Amministrazione straordinaria: anche questa procedura concorsuale non viene ricompresa tra le ipotesi che danno diritto alla variazione in diminuzione in quanto  lo scopo primario è quello della continuazione ed il risanamento dell’impresa e non il soddisfacimento dei creditori.

Diverso è il caso dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis L.F. in quanto, nonostante sia disciplinato all’interno della legge fallimentare non è considerato una procedura concorsuale (cfr. risposta al quesito 4.2. nella Circolare, n. 8/E del 13 marzo 2009).  Nella risposta al quesito 4.2. di cui alla Circolare n. 8/E del 13 marzo 2009, l’Agenzia delle Entrate - richiamando la Circolare 40/E del 2008 - afferma infatti che l’articolo 182-bis della legge fallimentare è finalizzato a valorizzare il ruolo dell'autonomia privata nella gestione della crisi dell'impresa mediante la previsione di una procedura semplificata a carattere stragiudiziale. Pertanto, l’unica possibilità per il creditore che aderisce ad un accordo di ristrutturazione dei debiti di recuperare l’IVA corrispondente alla quota parte del credito falcidiato rimane quella concessa “per sopravvenuto accordo tra le parti” prima che sia decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione originaria che ha dato luogo all’emissione della fattura, come previsto dal comma 3 dell’art. 26.

Per quanto riguarda le note di accredito effettuabili sulla base di una procedura esecutiva infruttuosa, l’amministrazione finanziaria ha affermato con la Ris. 195/E del 16.05.2008 che il diritto alla variazione presuppone che abbia avuto inizio una procedura esecutiva e che la stessa si sia conclusa infruttuosamente; conseguentemente, deve escludersi che tale diritto sorga con la notificazione del titolo esecutivo e del precetto se non è poi avvenuta alcuna attività esecutiva che, ai sensi dell’art. 491 C.p.c. ha inizio con il pignoramento. Diversamente, se è stato dato corso all’azione forzata e l’esito è risultato negativo, a decorrere dal definitivo accertamento dell’infruttuosità dell’esecuzione documentata dagli organi di procedura il credito ha la facoltà di eseguire la variazione in diminuzione sulla base dell’importo del credito insoddisfatto.

a cura di: 

dott. Andrea Stropparo

pubblicato su:

C&S Informa, volume 14, numero 5 anno 2013